Fellini dichiarava di essersela inventata la Roma della Dolce vita e di Otto e mezzo. E poi quello era un capolavoro, il nostro è un film». Paolo Sorrentino a Cannes gioca in casa: tutti suoi film hanno avuto la benedizione del festival, il premio della Giuria nel 2008 a Il divo ha coinciso con la consacrazione internazionale. La grande bellezza, dopo aver diviso i critici, ora affronta il doppio esame: quello della giuria del festival presieduto da Steven Spielberg e quello del pubblico italiano (è appena uscito nei nostri cinema). Nessuna ambizione, spiega il regista napoletano di farne un Otto e mezzo del 21esimo secolo: sbaglia, dice, chi lo interpreta come una parabola sull’Italia del presente. «Una lettura approssimativa e superficiale fa pensare che parli del presente, ma avrei potuto farlo dieci anni fa o tra dieci anni e non sarebbe cambiato molto. Il film si interroga su sentimenti, sulle dinamiche degli esseri umani, la grande bellezza della fatica di vivere, dello scorrere del tempo».
ROMANZO VIVENTE - Quelle feste in cui Jep Gambardella/Toni Servillo semina il suo talento, in cui è facile riconoscere spezzoni di attualità, non sono il cuore del film, ma uno sfondo, in cui Jep, come spiega Servillo, sempre più alter ego di Sorrentino (che il regista spiega così: «Lavoriamo così spesso insieme per uan combinazione ottima di senso della famiglia e sua capacità di essere sempre imprevedibile e inedito, spreca con indifferenza il suo talento». Come Flaiano diceva di Soldati, «anche Gambaredella sembra l’unico capace di vivere la propria autobiografia. E come Flauberto non essendo stato capace di scrivere il romanzo sul niente, ha continuato a scrivere vivendo. Non è riuscito a scrivere il nuovo romanzo dopo L’apparato umano e allora lo vive, muovendosi in questi ambienti romani, mondi dove si officiano diversi riti». Mondi popolari non da nuovi mostri giudicati dal di fuori, ma persone che inanellano occasioni mancate. «Fellini con La dolce vita - spiega Servillo - che doveva intitolarsi La grande confusione, guardò Roma dolcemente appoggiato a una balaustra e vide un’Italia che viveva sulla spinta del rilancio dopo la guerra. Per Paolo nessuna balaustra, è caduto nella tromba delle scale».